~ del perché ho deciso di trasferirmi in Giappone ~
C'è qualcosa di speciale nelle mattine di Tokyo, qualcosa di incommensurabile per me, qualcosa di drasticamente indefinibile e al tempo stesso dolorosamente buono.
E' il sole che si alza, che qui assume
una tonalità bianca e lucida, tanto cristallina da farmi pensare
alla rinascita, al pulito immacolato di una sala chirurgica, come se
con l'alba il mondo potesse giustamente riempirsi di bontà, dare un
colpo di spugna al sudiciume della notte e colmare me di gioia e
aspettative talmente grandi da poterle a stento afferrare, è il dono
che questa città mi concede, qui e ora a Tokyo, come in nessun altro
posto al mondo.
Sulle superfici lisce di case e
palazzi, sulle mattonelle e sui vetri cangianti, raggi sparsi si
stendono sulle guance pallide di una Tokyo che sbadiglia,
dopo una notte ubriaca di luci al neon e bevute in izakaya fumosi.
Lo so perché sono le 6.00 del mattino
e sto camminando per le strade praticamente deserte di Nippori,
in uno degli ultimi giorni in terra giapponese.
Il sole sta sorgendo e pare prendermi
una stretta al cuore.
C'è tutta questa luce intorno a me e
un immenso, profondissimo silenzio.
Improvvisamente, mentre percorro la
strada che separa la stazione da casa mia, ne sento il bisogno,
respiro più profondamente, voglio rubare una parte di questa città
attraverso l'aria fredda del mattino. Insieme intrappolo speranze e
sogni, li tengo stretti, ancora una volta dentro di me. Perché sono
miei, e forse una delle cose più care che ho, li ho impastati io, li
ho tenuti al caldo e li ho fatti lievitare, ora sono morbidi contro
il mio petto, così soffici da poter volare via in un baleno.
E' una declinazione tutta mia
dell'amore, che si intreccia a sospiri, sbuffi, preghiere per ciò
che sto costruendo.
Quando si ama un posto si finisce con
l'appartenergli. E io in parte appartengo al Giappone.
Sono italiana, lo sarò sempre, ma
appartengo anche a queste isole di gente dai sorrisi misteriosi,
regole diverse, occhi neri che scrutano.
Un poco mi ha aperto le sue braccia,
solo un poco, pochissimo, mi ha accolto nella sua complessità.
La gente per strada ha smesso di
chiedermi se ho bisogno di aiuto, non ho più quell'espressione
spaesata ora, ho stretto amicizia con Tokyo, io le voglio bene, lei
in qualche modo vuole bene a me.
E' una relazione complicata certo, non
lo nego, perché Tokyo fa tanto rumore pur rivelando poco di se, e ci
saranno incomprensioni, forse talvolta litigheremo anche, ma ciò che
so con ancora più certezza è che riappacificarsi, per me e per lei, è
alla fine inevitabile.
Tokyo che cala su di me un'energia che
a tratti mi fa venire il mal di stomaco, come di montagne russe e
voli a testa in giù, quel male che sa di farfalle nella pancia ed
eccitazione, l'idea ingenua e
buona che se attraverso le sue strade sorridendo allora lei
sorriderà a me e la ferma convinzione che se di certo io non sono
Alice e questo tantomeno il Paese
delle Meraviglie, la meraviglia sarò io a crearla attraverso il mio
impegno, perché intrinseca delle cose belle è anche la difficoltà.
Ancora ho tanto da capire di
questo Paese, delle sue persone, cose che i miei occhi non vedono o
forse vedono o interpretano diversamente, ma mi va bene così, lo
accetto. Sono disposta a pazientare, ad aspettare che quelle braccia
si aprano di più, a comprendere meglio tutta la bellezza che vedo
attorno a me ed anche la bruttezza, anche quella voglio capire.
Questa è la mia determinazione,
来年,
me lo ripeto per darmi forza.
Durante il volo bevo bicchieri su
bicchieri di ocha in modo da imprimerne in bocca il
gusto, ho comprato la polvere solubile, ma chissà se a casa sarò in
grado di farlo venire buono, nel dubbio chiedo un altro bicchiere e
poi un altro ancora.
La prima volta che la mia lingua si è
scontrata col suo sapore dolce-amaro, secco sul palato in maniera
fastidiosa, è stato durante il volo d'andata, una battaglia ingoiare
quella prima sorsata di Giappone caparbio.
Ho imparato ad apprezzarlo solo in
seguito lo ammetto, mentre con il mugicha ancora ci combatto,
e ora eliminarlo dalla mia quotidianità sembra quasi una sovversione
del giusto e del sensato.
A pranzo ancora mi concedono le
bacchette, a cena non più, mi sembra chiaro il messaggio,
siamo in Europa ora, si torna alle posate, al buon "pratico
metallo", e con la forchetta gli udon mi fanno mangiare,
praticamente come mangiare una pizza con delle bacchette.
Immagino di dovermi scordare di cose
come spiluccare un'insalata con le bacchette, cucinare a mo' di
giocoliere una frittata sempre e solo con le bacchette.
Perfino la barretta della Glico che
accompagna il pasto mi pare un pelo surreale, sulla confezione kanji
abbracciati ad altri kanji, e mi viene da pensare che siano gli
ultimi strascichi di questo lungo viaggio.
Da un lato ho un signore Finlandese,
dall'altro un ragazzo Giapponese che avrà qualche anno più di me,
anche lui è un ultimo strascico: mentre in Giappone è considerato
maleducazione soffiarsi il naso in pubblico, da noi lo è tirare su
col naso rumorosamente, e lui da buon giapponese continua a tirare
su col naso da quando siamo partiti, facendomi sorridere.
Forse
ancora per un po' posso godermi bricioline di Giappone ... vorrei, in
realtà, non dovermele mai scrollare di dosso.
Così ora che sono in Italia mi ritrovo
a leggere Tokyo Orizzontale
per la terza volta, in una sorta di rito consolatorio.
Ed
è la poesia della scrittura di Laura ad abbracciarmi, a dirmi che in
qualche modo tutto andrà bene, che della perseveranza si nutrono
obiettivi che crescono con gambe forti e spalle larghe.
In
un libro che gratta la superficie dell'anima di Tokyo, narrando non
soltanto le vicende dei quattro personaggi principali, ma anche le
vite dell'immensa folla della capitale, il turbinio delle persone
comuni, quelle incrociate per strada, sedute di fianco a noi
sull'autobus o in coda dietro di noi alla posta. Milioni di vite, che
come fili a Tokyo si ingarbugliano, si annodano, si sfiorano, si
scorrono accanto (come il più delle volte accade) ignorandosi.
Ed è così che mi è apparso, tra le righe di un libro, il ritratto della grande Tokyo: la sensazione della moltitudine, fisica più che mai, in cui perdersi, ritrovarsi. Di come a Tokyo si possa essere uno pur essendo circondati da mille. E' la fame della grande città, che inghiotte persone, disperdendole, ma che a volte le restituisce anche più consapevoli.
Ed è così che mi è apparso, tra le righe di un libro, il ritratto della grande Tokyo: la sensazione della moltitudine, fisica più che mai, in cui perdersi, ritrovarsi. Di come a Tokyo si possa essere uno pur essendo circondati da mille. E' la fame della grande città, che inghiotte persone, disperdendole, ma che a volte le restituisce anche più consapevoli.
Tokyo,
dopo averla vissuta e nell'attesa di ritornarci, si costruisce nella
mia mente pagina dopo pagina. Spuntano i grattacieli, i
parchi, le case, quelle basse di quartieri residenziali e
sonnacchiosi, la folla, la mia amata folla e il suono della lingua
giapponese che è ovunque e che ascolterei per ore. E ancora la
follia delle luci e l'agitazione di una città che non trova pace ne
riposo, un'irrequietezza che amo e che mi rende irrequieta a mia
volta, riempendomi il petto di vita, facendomi battere i piedi contro
il pavimento in attesa di un qualcosa di così vago e al tempo stesso
concreto da spaccarmi l'anima in due.
E' un libro che per questo un poco mi
fa soffrire, ma di quella sofferenza buona, di quando qualcosa che si
ama non è a portata di mano, e allo stesso tempo mi guarisce.
Allora più che sofferenza, è desiderio, è impazienza.
Sì, sono impaziente.
来年,
来年
, 来年*
è la formula della mia determinazione.
*l'anno
prossimo
「Studiare giapponese è sempre stato quello che volevo fare, per una bambina di 11 anni potrebbe
sembrare una decisione impegnativa eppure ero fatta così già allora...
per me lo studio della lingua e della cultura giapponesi è qualcosa di estremamente serio e
altrettanto importante, qualcosa in cui riverso tutta l'anima senza risparmiarmi, al
punto da aver preso una laurea e aver deciso di trasferirmi dall'altra parte del mondo alla
ricerca di un miglioramento personale, pur sapendo che qui in Italia lascio qualcosa che per me
é infinitamente prezioso (prezioso tanto quanto i miei sogni sia chiaro).
Questo post è nato così, non con la pretesa di essere sentimentalmente universale né per figurarsi come una creatura venuta fuori dalla mia ingenuità, ma semplicemente come
il condensato del mio modo di affrontare la vita e della grande dedizione e del grande amore per quello che studio e faccio.
Il Giappone che mostro è quello che ho visto, e che vedo, quello che imparo a conoscere, quello
che sento, non il Giappone ultimo, non la Grande Verità, e sarà (per forza di cose) diverso dal Giappone percepito dagli altri 2 milioni di stranieri che abitano il Paese.
E' semplicemente il Giappone che mi va di mostrare, nel bene e nel male, un Paese in cui sento
di poter vivere bene, un Giappone di viaggio, e in parte un Giappone del vivere quotidiano, è il
Giappone delle mie piccole cose, dell'apprezzare le possibilità concesse, delle difficoltà e delle
giornate storte, ma che ho sempre affrontato (e intendo affrontare) con il mio immancabile spirito positivo ed entusiasta.
Vivere, ovunque lo si faccia, dopotutto è sempre vivere, sta a noi farlo nel miglior modo possibile.
Questo post è stato concepito sul volo di ritorno dal Giappone, e in parte proprio scritto su quell'aereo, nel momento in cui mi sentivo una bomba ad orologeria di sentimenti, e da allora
riposa tra i file del mio computer.
Quest'anno mi ha messa di fronte a tante sfide ma mi ha anche dato tante soddisfazioni, il prossimo anno invece mi porterà tanti di quei cambiamenti che pensarci è impossibile.
Era giunto quindi il momento di pubblicarlo, il momento giusto per condividere questi miei pensieri con voi.
Nello scrivere questo post ho comunque fatto un'eccezione.
Di solito per i miei post utilizzo esclusivamente foto scattate da me, oggi ho scelto di usare le foto scattate dal mio fotografo giapponese preferito.
Masashi Wakui, ho sempre pensato che nei suoi scatti riesca ad immortale un
Giappone evanescente, vicino e lontano, bellissimo e doloroso allo stesso tempo e che guardare le sue foto sia un po' come vedere il Giappone attraverso i miei occhi.
sogni realizzati. Un abbraccio grande grande. 」
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Ci vediamo alla Prossima Fermata ⊂(。・ω・。)⊃
Una meravigliosa storia d'amore la tua!
RispondiEliminaDa quanto leggo il "Mal di Giappone" è peggiore del Mal d'Africa! :D
Ti auguro un Buon 2017 e di rivedere presto questa Terra speciale!
Daniela
Ciao Daniela :) benvenuta sul blog!!
EliminaUna storia d'amore fin da quando ero piccola aimé ahah è stato un po' traumatico dover andare via dopo averci vissuto per un po' ma tra 3 mesi tornerò a Tokyo, quindi forza e coraggio!!
Grazie mille!! Io auguro un 2017 meraviglioso e pieno di viaggi anche a te!!:D
Post meraviglioso e dolcissimo. E per me è come se lo avessi scritto io perché è esattamente quello che sento per Tokyo. Hai espresso in maniera perfetta i miei sentimenti. Faccio il tifo per te e spero che tutti i tuoi desideri e i sogni si possano realizzare. Ganbatte! Aspetto con impazienza nuovi post ;)
RispondiEliminaCiao Hachi :) grazie per le parole di incoraggiamento!!
EliminaCome sempre io e te siamo sulla stessa lunghezza d'onda ;) ce la metterò tutta per trarre il più possibile da questa esperienza che sia anche solo migliorare nella lingua o aprirmi qualche nuova strada per il futuro
Che bello amare un luogo in modo così intenso, coglierne ogni sfumatura, trattenere ogni emozione. Provo lo stesso anch'io per una città che mi corrisponde molto più di quella in cui sono nata e ti capisco bene. Sono certa che tornare in Giappone ti darà tanto, come tutte le esperienze che ci portano fuori dalla nostra comfort zone, alla scoperta del mondo e di noi stessi... Buon anno cara, e un abbraccio!
RispondiEliminaCiao Ilenia :)
RispondiEliminainnanzitutto buon anno e un grandissimo abbraccio anche a te, spero che l'anno nuovo ti porti tante soddisfazioni e nuovi bellissimi viaggi!!
Eh sì, io e te da questo punto di vista ci capiamo benissimo, quando si ama una città così tanto la si ama nel bene e nel male, e lasciarla per persone come noi significa portarsi dietro in qualche modo un vuoto.
Quest'anno sarà un anno di sfide, ma come hai detto tu voglio trarne il più possibile! Come si dice in giapponese: 頑張りましょう