Durante il periodo estivo in Giappone
si svolgono numerosi Hanabi, decise a vederne uno chiediamo a Shun
quale sia il migliore, lui tira fuori l'iphone (qua è rarissimo
vedere qualcuno con un altro tipo di telefono) e dopo aver consultato
una tabella fitta appunto di eventi da qualche misterioso sito
internet ci consiglia quello del 22 Luglio: è un hanabi grande (e
quindi bello da vedere) ma non incasinato come potebbe essere quello
del Sumidagawa (l'hanabi più importante di Tokyo che si svolge
invece il 26).
Così la mattina del 22 partiamo da
casa di buon ora con l'obiettivo di comprare degli yukata da
indossare per l'hanabi. Lo yukata (una sorta di kimono estivo e
leggero) viene molto spesso indossato dalle ragazze giapponesi per
questo tipo di celebrazioni e noi non vogliamo ovviamente essere da
meno; sfidiamo il caldo atroce andando a piedi fino all'ABAB di Ueno
(dove si trova uno stand che vende yukata che dà direttamente sul
marciapiede) e cominciamo a spulciare tra i vari yukata disponibili.
Qui non vendono solo gli yukata singoli ma anche i set
(yukata+obi+geta) ed è quello che alla fine decidiamo di prendere,
scegliere uno yukata è qualcosa di molto personale, ci sono
tantissime possibilità, stampe e colori , abbiamenti; è qualcosa
che si deve intonare con i propri di colori e con il proprio
carattere.
(tre occidentali in yukata, che
starà mai succedendo?)
Pago il set completo 8500 yen (60 euro
circa) e penso che da noi, uno yukata plasticoso cino-tarocco a una
qualsiasi fiera si aggira attorno ai 25 euro, e non posso che essere
ancora più contenta dell'acquisto (comprare uno yukata veramente mio
e indossarlo è sempre stato uno dei miei sogni).
L'unica cosa che non riusciamo a
trovare sono dei kanzashi (i fiori di stoffa che si mettono nei
capelli per abbellire l'acconciatura) da abbinare allo yukata,
giriamo come pazze nel tentativo, ma a meno di non spendere un
patrimonio non c'è verso.
Dopo aver passato la mattina a caccia
nel pomeriggio arriva la vera sfida: indossare lo yukata da sole,
armate di tutorial di youtube, ma soprattutto di tanta buona volontà
faccio da cavia e scopriamo subito che non solo non sembra facile
nella teoria ma non lo è neanche nella pratica.
Lo yukata è molto lungo perché deve
creare una sorta di risvolto all'altezza della vita, quindi bisogna
allinearne il davanti e nel frattempo tirare su il retro per creare
questo risvolto (cosa impossibile da fare da sola, almeno senza una
certa esperienza).
Io e Ale armeggiamo, il momento più
difficile è quando dobbiamo sistemare la parte del colletto, perché
bisogna creare il risvolto anche sul davanti e nel contempo far stare
la parte del colletto bella tirata ripiegandola all'interno.
Al quarto tentativo il mio yukata è
finalmente a posto e mettere gli altri fila più liscio, ci
trucchiamo, acconciamo i capelli, afferriamo i ventagli e siamo
pronte.
Esitiamo un attimo prima di uscire di
casa: 3 occidentali ricce in yukata dai colori sgargianti, stasera mi
sa che tentare di passare inosservate sarà davvero inutile.
Non faccio in tempo a pensarlo che
dall'altra parte della strada una vecchina in bici si ferma per
fissarci, le si legge in faccia una cosa tipo: probabilmente ho le
visioni.
Le sorrido, mi
sorride e ci dice すきてきな着物ですね-sukitekina
kimono desu ne (ma che bei kimono) e mi sento come se avessi appena
superato il giudizio universale, se la vecchina giapponese approva
vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro (credo). Così procediamo
verso la stazione dove Shun, Yuji e due loro amiche ci aspettano.
Camminare con i
geta e lo yukata è qualcosa di insolito, le suole di legno
picchiettano sull'asfalto in un suono sordo che rimbomba, come di
legnetti di bamboo che si scontrano. Lo yukata ti avvolge, in
particolar modo le gambe, costringendoti a compiere tanti piccoli
passi per arrivare alla meta.
Forse è così che
le donne giapponesi imparano la pazienza, è qualcosa che deriva da
millenni di pratica quotidiana, sta forse nell'imparare che da qui a
lì per quanta sia la distanza, essa potrà essere coperta grazie
alla costanza; mentre la nostra falcata di donne occidentali vuole
tutto e subito, ed è difficile piegarla
ai tempi dello yukata, strattona la stoffa se faccio un passo più
lungo del dovuto, come a ricordarmi che non devo avere fretta.
Così sgambetto anch'io come una giapponese, salire le scale si rivela altra ardua
impresa.
Ma ora sfatiamo un
mito.
Avete presente come
appaiono carine, fresche e aggraziate le giapponesi quando indossano
un kimono o yukata che sia?
Ok,
dimenticatevelo.
In realtà stanno
patendo le pene dell'inferno, sopratutto quando lo indossano d'estate
e magari saranno anche carine e aggraziate ma di certo non fresche
(lo posso dire ora per esperienza personale).
Lo yukata (kimono
leggero un corno) riesce a trattenere il calore del tuo corpo,
fregarne dell'altro dall'aria afosa circostante, bollire il tutto a
mo di pentola a pressione e farti fare la sauna in una volta
sola. Davvero, fresco non è esattamente la parola con cui lo descriverei.
L'hanabi di stasera
(che si chiama 葛飾花火大会-
Katsushika Hanabi Taikai) si svolge a 高砂-
Takasago, un quartiere molto carino e per l'occasione affolattissimo,
ci fermiamo un attimo a prendere dei succhi al FamiMa e poi seguiamo
il flusso di persone fino al padiglione dei fuochi d'artificio.
(una parte degli
spalti, eventi come questo attirano sempre tantissime persone)
La quantità di
gente è impressionante, mai viste così tante persone tutte assieme,
e trovare posto dove sedersi si rivela più complicato del previsto.
Alla fine Jiji suggerisce, molto italianamente, di scavalcare e
infilarci in uno dei settori a pagamento.
Il mio primo
pensiero va all'amato yukata, mi stanno seriamente chiedendo di
scavalcare una staccionata quando con sto coso addosso (che mi lega neanche fossi un salame) mi devo
impegnare anche solo per fare due passi?
Alla fine in qualche modo sguscio tra
la sbarre e riusciamo ad accaparrarci un pezzo di prato poco prima
dell'inizio dello spettacolo.
(i fuochi d'artificio iniziano)
Letteralmente Hanabi 花火
(fuochi d'artificio) vuol dire fiori di fuoco,
e mai definizione potrebbe essere più giusta. La lingua giapponese
con logica, ma poetica, semplicità riesce a definire appieno la
meraviglia e l'essenza della cosa.
E' uno spettacolo
di boati e fragori, fiori che sbocciano nel cielo notturno
bruciandolo di colori accesi.
La parola hanabi
non indica secondo me semplicemente i fuochi d'artificio, ma anche
l'atmosfera di questo evento particolare, la partecipazione, la
condivisione, lo stare tutti col naso all'insù e non poter fare a
meno di stupirsi quando il fuoco d'artificio tuona in cielo e le
scintille si spargono, è una voce unica quella che dice wooow
ogni volta.
Con l'idea di farvi
immergere nell'atmosfera di festa dell'hanabi ho fatto molti video e
anche qualche foto, spero possiate godervi lo spettacolo almeno la
metà di quanto io ho amato quell'ora e mezza di fuochi d'artificio
(e l'ho amata tantissimo).
(Jiji dice wasshoi,
ci spiega che è una sorta di parola di esultanza che si può usare
in occasioni come questa)
(sto col naso all'insù anche io, l'espressione beata e un mezzo
sorriso, gli hanabi sono qualcosa di indescrivibile)
(meraviglie oro e blu e ancora Jiji che disce wasshoi)
(Jiji e una delle ragazze giapponesi giocano a dire il Paese
associato ai colori dei fuochi)
(verso la fine, un tripudio di colori)
Il tempo di uno scatto e ci rimettiamo in marcia per tornare verso la
stazione, il padiglione si sta svuotando e la quantità di gente è
superiore rispetto all'andata
(eccoci tutti assieme)
E' stata una bellissima esperienza e sudare (letteralmente) sette
camicie per indossare il caloriferoyukata è valso la fatica
-tralasciando il momento in cui (dato che il colletto dello yukata
sul retro non è attaccato al collo ma lascia uno spazio di 2/3 dita)
un insetto pensa bene di finirmi dentro lo yukata e io urlo come
un'ossessa per mezzora finché Shun mi libera da quel mostro- mi
sarei imbucata subito ad un altro hanabi per poter rivedere i fuochi
da capo.
(direzione casa, Shun da bravo giapponese in metro entra in modalità
standby)
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